Descrizione |
Il saggio, uscito per la prima volta in «Concilium» 15, 9 (1979) 1540-53, sostiene nella premessa che sia possibile fare una storia della santità in considerazione del linguaggio costituito da gesti e scritti dei e sui santi, mentre resta inattingibile il fenomeno della teandria, cioè l'incorporazione dell'uomo in Dio. In ogni modo, il primo modello storico di santo è stato il martire, che attesta un'alterità di vita altrimenti non difforme, in nessun tratto esteriore, al resto della società, se non nella circostanza estrema della morte: momento di piena comunione mistica umano-divina, che ribadisce, nel paradosso della rinuncia al vivere, la preminenza di un'altra dimensione esistenziale rispetto alla pretesa di dominare la storia da parte del potere politico. Si tratta però di un'esperienza iniziatica, che per valore simbolico è dunque da assimilare al battesimo. Del resto la sua ragion d'essere viene meno dal IV secolo, con l'editto di Costantino, che dà inizio alla cosiddetta «cristianità», un'uniforme società cristiana, non nel cuore, ma sulla superficie dei culti e dell'autorappresentazione. Il modello di perfezione diviene allora il monachesimo: una morte non più reale ma simbolica, in forma di abbandono del mondo. Se tale rimane a lungo il significato in Oriente, in Occidente la primitiva inclinazione gnostica e plotininiana del disprezzo per la materialità e il corpo trova una prima mitigazione con Cassiano (che determina la prevalenza del cenobio sull'eremo); ma è soprattutto l'irrompere dei Germani a suscitare la necessità di un coinvolgimento del monaco in un impegno di conversione attraverso la profezia, la predicazione e l'attività apostolica, in modo da guadagnare uno spazio maggiore nella dimensione secolare, nonostante il recupero dell'ideologia costantiniana da parte di Carlo Magno e dei suoi successori. Nel secolo XI lo spartiacque costituito dalla figura e l'opera di Gregorio VII, che sostiene la necessità di un autonomo spazio storico per la chiesa, ha solo in parte efficacia: in realtà i due poteri, secolare e spirituale, entrano in un conflitto logorante. Rimane comunque immutata l'immagine del monaco come unico modello possibile di santità, sebbene siano sempre più chiari i segni di insoddisfazione. Dopo il secolo XI si susseguono tentativi di innovazione, fino alla reale e finale svolta intervenuta in Occidente con Francesco d'Assisi, che fornisce un nuova interpretazione della rinuncia alla realtà mondana, con maggiori connessioni all'escatologia, ma soprattutto all'amore verso il prossimo. Il reale retaggio francescano, nella sua natura mistica, pertiene, più che ai frati minori, a personaggi che stanno fuori dall'Ordine: ad esempio Teresa di Lisieux, che radicalizza l'astensione da ogni azione storica, anche dalla parola, con un approdo all'annichilimento in Dio. L'età moderna costituisce per lo più un ambito post cristiano, che cioè ha perduto i valori e connotati universali di un tempo. In un contesto del genere anche l'immagine del monaco è divenuta un anacronismo. La contemporaneità in particolare ha ripristinato il confronto uomo-Dio nella stessa modalità, priva di mediazione, che aveva l'Israele veterotestamentario. Persiste comunque a seguito del modello martiriale-monastico, come suo prodotto più alto, l'aspirazione della mistica a «nuovi cieli», che soprattutto dopo il XV secolo, con il sacrificio, e il conseguente lascito di Giovanna d'Arco, Girolamo Savonarola, Tommaso Moro, si abbinano all'annuncio di una «nuova terra»: un messaggio che rientra in pieno nella politica da intendere non come conquista di potere nel secolo, ma piuttosto, in forma di profezia, in considerazione del futuro compimento escatologico. |