Descrizione |
Studio già edito in Passaggi dal mondo antico al Medio Evo, da Teodosio a San Gregorio Magno (Roma 25-29 maggio 1977) Roma 1980 pp. 35-76 (cfr. MEL VI 3308). All'origine della devozione per i santi stanno i martiri, paragonabili secondo alcuni studiosi alle divinità pagane, che però non conoscevano la morte, esperienza essenziale invece nella prospettiva cristiana: preminente momento mistico, occasione in cui la vita umana è compenetrata da Cristo, in una trasfigurazione che permette di mutare il dolore in gioia per l'acquisizione della vera vita trinitaria. Si tratta di una teologia corporea, e pertanto ancora rudimentale, che comunque anche i primi dottori della chiesa, in particolare Agostino, espressero nel ribadire l'importanza del sacrificio estremo anche in età post-costantiniana, quando ormai sussisteva libertà di culto. Con il passaggio, tra IV e V secolo, a una condizione di egemonia religiosa cristiana, la sopravvivenza comunque di pagani, eretici e fedeli solo in modo superficiale, impose l'esigenza di reinterpretare il senso del primo modello agiografico, ormai anacronistico, secondo una nuova forma, capace di esprimere la divinizzazione non in rapporto alla morte, quanto piuttosto alla vita, in una dimensione comunque trascendente il mondo. Fin dai primi scritti biografici, su Antonio Abate (da Atanasio, dopo il 356), Ilarione e Paola (autore Girolamo, nella seconda metà del Trecento) ma soprattutto Martino di Tours (rappresentato alla fine del IV secolo, da Sulpicio Severo nella celebre Vita) appare chiaro il problema della «doppia carità», intesa cioè, rispettivamente, in verticale, verso Dio, alla ricerca del proprio perfezionamento personale, e in orizzontale, nei confronti del prossimo, con l'impegno taumaturgico, esorcista ed evangelizzatore, confluito, nell'ultimo caso citato, nel ruolo episcopale, chiamato più di ogni altro alla sollecitudine per il gregge dei fedeli. Il monaco, in ogni caso, era, ed è a lungo, il modello di santità per eccellenza, anche se, a differenza dell'originario ambito geografico orientale (dominato da un impero forte del potere spirituale), in Occidente manca della rigorosa interpretazione origeniana e neoplatonica, incline al disprezzo per il mondo e la materia: una prima mitigazione appare nella proposta di semipelagianesimo da parte di Giovanni Cassiano, che comunque, pur valorizzando alcune pratiche attive (obbedienza, lavoro manuale, ascesi), mantiene l'iniziale segregazione dalla storia; le concede un maggior interesse Salviano di Marsiglia, De gubernatione Dei, per le critiche di superficialità, ritualismo e conformismo ai cristiani contemporanei, addirittura superati da molti popoli germanici ancora eretici, ma capaci di scardinare un ordine ormai stereotipo, nemico e contrario all'avvento del regnum Dei. In ogni modo, solo più tardi si verifica una svolta, con le biografie scritte, sotto il segno di Agostino, rispettivamente, per suo impulso, da Paolino, su Ambrogio da Milano, e da Possidio sullo stesso presule di Ippona: testi che trasmettono un unico messaggio perentorio, ai vescovi, di invito a farsi carico di ogni vicenda, anche la più disperata, con un intervento attivo nel secolo, sebbene, ancora per ossimoro, con armi affatto spirituali come la predicazione, la preghiera, il miracolo. D'altro canto, dopo il concilio di Efeso (431), si afferma una decisa antropologia sacra della carne: dal dogma della Vergine madre, alla riflessione sul corpo di resurrezione, evento riservato all'ultimo giorno, con un pegno però costituito, già nella realtà terrena, dalle reliquie, ovvero i resti materiali di chi ha raggiunto in vita la divinizzazione. A una fuga dalla materialità è comunque riconducibile anche la nascita del monastero di Lérins, sebbene i fondatori, i fratelli Onorato e Venanzio, secondo il racconto di Ilario di Tours, ricevano un'investitura episcopale in spirito, prima che di fatto (ad Arles): il loro cenobio, circondato da folle di fedeli, diviene così un'impresa vocata, con finalità e strumenti agostiniani, all'apostolato e alla carità verso il prossimo; al di là di questo impegno, manca però, almeno nell'orizzonte agiografico una reale prospettiva storica. La quale magari appare in Vittore di Vita, Passio beatissimorum martyrum qui apud Carthaginem passi sunt sub rege Hunerico, che torna al racconto martiriale, con il consueto contrasto dei santi con l'autorità politica, incarnata stavolta, in Africa, da un re vandalo, privo della valenza universalistica imperiale. Ed è proprio la tradizione africana, tramite i profughi delle persecuzioni, a suscitare, con papa Gelasio (talvolta indicato infatti come Afer), nella lettera ad Anastasio I, una nuova elaborazione ideologica capace di mettere in discussione il ruolo dell'imperatore come capo politico e insieme religioso, alla maniera costantiniana, per affidare il potere spirituale ai vescovi, in particolare al successore di Pietro: una posizione che ha avuto grande risonanza, pur con alcuni limiti, soprattutto per la scarsa comprensione delle nuove istituzioni romano-barbariche. In un contrasto del genere riaffiorano antiche esigenze di conversione, non più in riferimento ai pagani del mondo greco-latino, ma agli eretici Germani. Sotto questo aspetto assume un particolare valore la comunità dei santi nella molteplicità dei modelli da loro incarnati: il martire, il monaco, il vescovo, l'eremita, il profeta, il pellegrino, il taumaturgo, scendono, per così dire, dal cielo per occupare, in una fitta rete di reciproche competenze patronali, ogni angolo dell'ecumene, in una colonizzazione che ridimensiona anche l'idea di Dio, non più entità separata dal mondo. Risalgono a questo periodo le biografie scritte da Costanzo da Lione, per Germano di Auxerre, e da Referenzio, per Ilario di Arles. I Dialogi di Gregorio Magno rivelano in particolare l'instabilità politica e l'esigenza di un nuovo monachesimo, attento alla storia senza più alcuna esitazione residua. |