Descrizione |
Con il secondo dopoguerra, e la fine del razionalismo che aveva ostacolato lo sviluppo degli studi agiografici, la loro crescita, con iniziative e imprese ricordate dall'A. in un bilancio aggiornato all'epoca della prima pubblicazione (in La cultura in Italia fra Tardo Antico e Alto Medioevo. Atti del Convegno tenuto a Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, dal 12 al 16 novembre 1979 Roma 1981 pp. 643-59) si apre a orizzonti nuovi rispetto alla pura erudizione, non aliena da una certa componente apologetica. Le novità sono apparse soprattutto nello studio dei distinti ambiti anglosassone e merovingio, a cura rispettivamente di T. Wolpers e, poco più tardi, F. Graus e F. Prinz. Si tratta di interpretazioni che privilegiano, per il primo aspetto, in una prospettiva strutturalista, più che letteraria, la ricerca dei più diffusi temi e schemi, composti e adattati nelle agiografie; per il secondo invece, una visione che tiene conto dell'ideologia e della politica, connesse entrambe alla lotta per l'acquisizione e la conservazione del potere. A questo significato, in relazione al ruolo degli intellettuali nella società, sono riconducibili anche J. Le Goff e le ricerche in ambito italiano tra metà anni '50 e '70, con la tentazione però di rendere l'agiografia un'ancillare «disciplina ausiliaria» alla storia, per l'interesse non ai santi, ma ad altri argomenti, per lo più connessi con il comando e dunque al momento generatore delle biografie. I due aspetti, questo più ideologico, quello più strutturale, corrispondono tutt'al più ai momenti di origine e propagazione delle varie leggende agiografiche, senza però toccare la specificità che la disciplina deriva dalla combinazione con la teologia (nell'intendere il vir Dei come un essere umano visitato dallo Spirito Santo, per incorporarlo al Figlio, in modo da accedere alla visione del Padre), ma soprattutto con la letteratura, nello studio cioè sul cosiddetto «modello di santità»: l'immagine che i testi trasmettono, in una data epoca, sul culmine della perfezione nella realtà terrena. In un simile quadro di riferimento non sussiste soluzione di continuità tra l'epoca antica e il medioevo, che a lungo ha avuto come costante paradigma la figura del monaco, sebbene in dialettica con il ruolo di vescovo, per l'impellenza che le note circostanze storiche hanno avuto in Occidente. A questo proposito dopo un esteso periodo di contrasto con i nuovi poteri germanici, da convertire più che da combattere, solo dopo l'impero carolingio si verifica una svolta orientata verso una maggiore sottomissione. Resta comunque un ampio margine per uno scandaglio ancora più sottile di tradizioni e continuità nel tempo tra i diversi ambiti geo-politici ed ecclesiastici: dal monachesimo lerinense al mondo merovingio, dalla tradizione africana, dominata dalla personalità di Agostino, all'ambiente romano. |