Descrizione |
La figura del beato Ubaldo, vescovo di Gubbio, quale emerge dalle due vite quasi coeve che lo riguardano, è stata al centro di autorevoli studi, tendenti a rilevare reciproche analogie, già molto prima della pubblicazione nella miscellanea dal titolo: Nel segno del santo protettore. Ubaldo vescovo, taumaturgo, santo. Atti del Convegno internazionale di studi, Gubbio, 15-19 dicembre 1986 Perugia-Firenze 1990 pp. 227-39 (cfr. MEL XII 1574). Lo studio infatti esamina anzitutto il caso del prete Giordano da Città di Castello, che scrisse una biografia subito dopo la sua morte, avvenuta nel maggio 1160, come dimostra il generale afflato emotivo, tipico di un testo nato sull'onda della collettiva emozione cittadina, tale da rivisitare, rileggere e dunque scrivere ab ovo un'intera esperienza esistenziale: gli esempi al proposito sono numerosi, dal medioevo al Novecento (con la santificazione laica di Enrico Berlinguer). Il racconto sul vescovo eugubino rivela infatti una forte sproporzione narrativa, tra una prima sezione, che esaurisce in breve la descrizione di nascita, formazione e carriera ecclesiastica, oltre a una limitata attività taumaturgica, e la assai più cospicua parte successiva, su malattia, morte e miracula post mortem con un finale irenico di pacificazione e fratellanza che nello spazio lasciato all'azione della folla, oltrepassa i confini urbani. Gli eventi in effetti sono gli stessi della presentazione allestita da Teobaldo, successore del protagonista sulla cattedra del duomo locale. L'economia però della narrazione è affatto diversa, con uno spiccato favore quantitativo per le vicende e miracoli in vita, a scapito del transitus: il popolo ha solo un ruolo marginale rispetto al presule. La differenza tra le due narrazioni consiste più nella cornice, che nella prima infrange gli schemi agiografici senza proporne di nuovi, mentre nel secondo caso rispetta più da vicino le formule del genere letterario. Nei due scrittori è comunque presente lo stesso quadro di riferimento, ben saldo per entrambi nella dimensione clericale, senza reali riferimenti alla laicità come accade per Francesco d'Assisi, figura ben diversa, nonostante l'accostamento proposto a partire da Dante, Par. XI, vv. 43-5 e 49-50. |