Descrizione |
Il saggio è apparso in Donna, genio e missione Milano 1990 pp. 43-58 (cfr. MEL XII 3513). Il centro del cristianesimo è la teandria: una reciproca trasformazione umano-divina, espressa con il linguaggio dell'eros, perché di un rapporto si tratta, non nei meri termini sessuali, ma soprattutto di una complementarietà analoga e immutata perfino in Dio, culmine della perfezione. La stessa dialettica tra maschile e femminile sussiste tra i santi, talvolta sul piano metastorico, sicché comunque non c'è sant'uomo senza donna santa e viceversa. Gesù più che un semplice partner spirituale in generale per la donna (come la Vergine lo sarebbe per l'uomo) è il riferimento per l'immedesimazione, per mezzo dello Spirito Santo, in modo da avere la somma beatitudine di vedere il Padre. La mistica però conosce anche il momento inverso del dolore e del nulla, nell'esperienza stessa del Cristo, con la croce, la morte e l'aprire le porte degli inferi. Il punto risolutivo è comunque la resurrezione, stato di pace e leggerezza, al di là del bene e del male. Se di esperienze simili è impossibile fare la storia, lo è invece al riguardo dei modelli che nel tempo hanno rappresentato il desiderio, una figura e una vicenda non necessariamente reali. Il controllo imposto dal papato, a partire dal XIII secolo, con il processo di canonizzazione, determinante soprattutto dopo il concilio di Trento, non ha comunque impedito che immagini di perfezione fiorissero fuori dai limiti imposti dalle gerarchie. In relazione a papa Gregorio VII, al rivolgimento ecclesiastico con la riforma che sotto il suo nome sottrasse al sommo potere secolare, l'imperatore, il ruolo di guida per i cristiani nel mondo, si colloca Matilde di Canossa: incarnazione, come il pontefice, di un modello di perfezione in alternativa al monachesimo; tuttavia nella sua devozione eucaristica, tale da riconoscere nell'ostia consacrata il corpo di Cristo comunicato e presente nella storia, proprio grazie al sacramento, persiste in lei una rilevanza della condizione laica che non ha pari, per la supremazia del clero (con a capo il pontefice eletto da un collegio di cardinali), per tutta l'età gregoriana, come nell'ambito del neomonachesimo, capace solo di offrire il ruolo, pur rilevante, di badessa. Soltanto un secolo dopo, con il beghinaggio semimonastico nord-europeo, ma soprattutto con gli ordini mendicanti, il laicato trova spazio compiuto in contesti comunque femminili. Ma a determinare la specificità è soprattutto il retaggio di Francesco d'Assisi con il passaggio dalla contemplatio all'imitatio Dei, cioè una fruizione non più a distanza, come per i monaci, ma in piena assimilazione, sicché l'ascesi da esercizio propedeutico diviene momento successivo, corrispondente all'incarnazione e alla croce di Cristo. La più fedele interpretazione del messaggio risiede per lo più nelle mistiche umbre duecentesche, soprattutto Angela da Foligno, che nel suo Liber memorialis alterna l'estatica felicità nuziale alla bestemmia consapevole per il vuoto, l'annichilimento, seguito però sempre dall'aspetto resurrezione: un'alba oltre la dialettica luce-tenebra. Come lei fu terziaria, non francescana, ma domenicana, Caterina da Siena, mistica e profetessa, sostenitrice del trionfo da parte della misericordia sulla giustizia divina. Il suo tempo, l'epoca della cattività avignonese, della soggezione cioè al potere politico del papato, che perde per questo il suo carattere universale, vede invece la negazione (soprattutto con Giovanni XXII) della pienezza nel rapporto uomo-Dio senza la mediazione ecclesiastica: la svalutazione dunque della profezia e dell'estrinsecazione di ogni esperienza mistica. Su questa medesima linea, restrittiva in particolare del valore da assegnare alla persona rispetto all'istituzione, si spiega il sacrificio di personalità profetiche come Savonarola e Tommaso Moro, vittime rispettivamente dell'autorità pontificia e regia. Il Cinquecento è anche il periodo della divaricazione, riguardo ai modelli di perfezione, secondo il sesso: se in ogni caso si tratta sempre di chierici, per gli uomini assunsero particolare rilievo le attività assistenziali e missionarie (pertanto anche martiriali); alle donne invece, quasi tutte suore, rimase, nel chiuso della propria cella conventuale, solo la possibilità di un olocausto, desiderato e lacerante, di se stesse. La mistica infatti tra i suoi aspetti peculiari, insiste soprattutto sulla croce del Christus patiens. Fu questa comunque la maniera, per continuare, in una via tutta al femminile, la tradizione spirituale in via di esaurimento per vari motivi: la mancata esternazione (soprattutto a carattere profetico); il ridimensionamento del ruolo dottorale che le donne non avrebbero più avuto, come prima, il permesso di esercitare in un cenacolo meschile, data anzi l'imposizione del controllo da parte di un confessore, quasi un rigido guardiano tridentino della fede. Non mancarono tuttavia momenti di eccellenza, come con Teresa di Lisieux, capace di toccare il vertice del suo amore teandrico (tale da ricomprendere in un'unica, implicita valenza profetica, tutto il genere umano) la vetta consiste nella mistica del nulla: tenebra e obnubilazione che avvolgono l'intera realtà. Perché la profezia torni in auge occorre attendere, nella prima metà del Novecento, Lucia Mangano che, con la proclamazione della visione beatifica come evento possibile nella realtà terrena, apre la strada al recupero della laicità. Questo è il caso di Simone Weil, esempio di un'ulteriore estensione mistica a tutti. In questo senso, fuori dalla restrizione della ormai secolare santità ecclesiastica, è possibile rintracciare il segno di una crescita anche per quel che riguarda la distinzione, ormai da superare, tra santità maschile e femminile. Se il tempo moderno ha ormai consumato l'esperienza mistica del nulla, l'orizzonte futuro si schiude ad acquisire il conseguente aspetto risurrezionale. |