Ampio studio sulle attività commerciali e bancarie avviate in Ungheria da famiglie fiorentine durante il XV secolo. Nel capitolo uno (pp. 10-31), di carattere introduttivo, l'A. illustra gli scopi della ricerca e si sofferma sulle fonti impiegate, fra cui si segnalano libri della Mercanzia, che contengono in particolare resoconti sulle imprese dei Fiorentini all'estero, raccolte di Ricordanze (in particolare quelle della famiglia Corsini), manuali di mercatura (come quelli di Francesco di Balduccio Pegolotti e Giovanni da Uzzano), la corrispondenza fra il comune di Firenze e il re Sigismondo di Lussemburgo e i documenti contenuti nei registri del Catasto fiorentino del 1427, dove si trovano dettagliate informazioni fiscali sull'operato di singole famiglie, raccolte a seguito della riforma sulla tassazione introdotta per fronteggiare la crisi finanziaria insorta dopo il conflitto col ducato di Milano. Di gran lunga più modesto è, per contro, il numero di fonti ungheresi, fra cui si segnalano i documenti raccolti nella
Collectio Diplomatica Hungarica. Nel capitolo due (pp. 32-47), l'A. sottolinea innanzitutto lo scarso interesse degli storici per le attività imprenditoriali dei mercanti fiorentini nell'Est Europa, nel Sud della Germania e in Dalmazia, e poi riassume i principali contributi sulla presenza toscana in terra ungherese, a partire dagli articoli di B. Mayer (fra cui
Pápai bankárok Magyarországon a középkor végén «Századok» 57-58 (1923-1924) pp. 648-68) e sottolinea in particolare l'attenzione degli studiosi per il ruolo dei funzionari italiani nell'esattoria delle imposte. La prima indagine di ampio respiro fu quella di D. Huszti (
Olasz - magyar kereskedelmi kapcsolatok a középkorban Budapest 1941), attento a ricostruire l'attività dei mercanti in Ungheria nei suoi risvolti economici e sociali. Infine, dopo aver proposto una rassegna dei principali saggi sul ruolo dei Toscani nell'amministrazione, oggetto d'interesse anche da parte della critica ungherese dalla fine del XIX secolo, l'A. ripercorre i contenuti di alcuni studi pubblicati nella seconda metà del secolo scorso (fra cui si segnalano F. Melis
Aspetti della vita economica medievale. Studi nell'Archivio Datini di Prato Siena 1962 e R.A. Goldthwaite
The Building of Renaissance Florence. An Economic and Social History Baltimore, MD and London 1980). Nel capitolo tre (pp. 48-138), mediante un'analisi dei dati proposopografici ricavati da documenti del tempo, l'A. si concentra sulle attività svolte in Ungheria dai commercianti fiorentini, il cui arrivo fu inizialmente favorito dalla riforma monetaria di Carlo d'Angiò, in ottimi rapporti coi banchieri della città italiana. La documentazione più ampia riguarda nello specifico il periodo compreso fra 1370 e 1450, che vide una crescita dell'immigrazione fiorentina, motivata dalla ricerca di nuovi fronti commerciali dopo gli scontri con Pisa, il conflitto col papato e la crisi economica scoppiata nella seconda metà del XIV secolo. Questo incremento fu determinato anche dall'azione riformatrice di Sigismondo di Lussemburgo, che decise di integrare i Fiorentini nell'amministrazione delle finanze, affidando loro la gestione dei monopoli della corona. Il progetto del sovrano, promosso fra 1395 e 1397, prevedeva un sistema camerale in cui le funzioni si ripartivano fra ufficiali dipendenti e imprenditori e che, stando ai dati offerti dai documenti del Catasto fiorentino, offriva vantaggiose opportunità di arricchimento per i nuovi venuti, e per l'investimento di capitali, e per la gestione finanziaria di fondi statali. Nell'amministrazione delle attività estrattive (in particolare del rame) e di conio, progressivamente decentralizzate dal monarca, gli Italiani dovettero fronteggiare l'incalzante concorrenza dei mercanti tedeschi, con cui ebbero talora rapporti di stretta collaborazione, talaltra di aperta competizione. Tuttavia, a partire dal 1430, essi decisero di abbandonare questi settori d'investimento, preferendo assumere incarichi nell'amministrazione del regno; tale scelta non dipendeva tanto da problemi con i Tedeschi, quanto da un'improvvisa crisi del settore estrattivo, e dalla minaccia di incursioni ussite ai danni delle miniere ungheresi del Nord. Accanto a questo, fra XIV e XV secolo, pur con vicende alterne, i Fiorentini rivestirono un ruolo di primissimo piano nella riscossione delle imposte derivanti dal commercio estero e nella gestione delle miniere saline. Inoltre, sotto Sigismondo essi ebbero ampie possibilità di carriera anche in ambito ecclesiastico, perchè il sovrano, interessato a gestire in prima persona i proventi di diocesi facoltose, non esitava a porre esponenti dell'alto clero fiorentino alla guida di ricche sedi episcopali vacanti, come Zagabria e Oradea. Tuttavia, tra 1467 e 1472, la presenza toscana fu drasticamente ridotta, per un verso a causa del programma di riforme del nuovo sovrano Mattia Corvino, che decise di nominare un tesoriere, preposto al controllo degli uffici amministrativi, e per l'altro a motivo dell'emergere di una nuova élite locale, che mirava a occupare i vertici dell'amministrazione. L'A. poi, basandosi sui dati catastali, si concentra sull'attività delle compagnie toscane dei Carnesecchi, Melanesi e Panciatichi, che si stanziarono a Buda nella prima metà del XV secolo. L'A. ne ripercorre la rapida ascesa a Firenze alla fine del XIV, si concentra sull'entità e sui rischi degli investimenti compiuti in Ungheria, che prevedevano, fra gli altri, attività di credito al sovrano e importazione di beni di lusso con contratti di accomodita, e indaga sull'entità del capitale d'investimento, sulle effettive possibilità di guadagno, e sulle alleanze reciproche. Inoltre, accanto all'appoggio del re, che ne garantiva i privilegi fiscali, queste compagnie instauravano rapporti commerciali anche grazie al sostegno di mercanti locali e di membri dell'aristocrazia. L'attenzione è di seguito rivolta alle attività bancarie dei Fiorentini in Ungheria all'inizio del XV secolo. Nonostante le lacune e le imprecisioni delle fonti catastali, è possibile individuare l'entità dei numerosi debiti contratti da Sigismondo coi banchieri, che da un lato si esponevano a un alto rischio, perché il sovrano tendeva a essere insolvente, dall'altro si assicuravano vantaggiose opportunità di guadagno, in virtù dei tassi d'interessi più alti che in Italia e della possiblità che il re estinguesse i suoi debiti impegnando alcune fra le rendite della corona. Inoltre, i Fiorentini non lavoravano soltanto per conto del re, ma anche per nobili locali e per altri connazionali che risiedevano in Ungheria, e spesso le operazioni finanziarie venivano condotte con la mediazione di banchieri veneziani, che operavano di comune accordo coi colleghi toscani. L'A. poi, ricorrendo ai modelli proposti dall'analisi quantitativa, si sofferma sui rapporti instaurati dagli abitanti di Firenze con le società commerciali dei loro conterranei in Ungheria, a cui potevano participare versando un fondo chiamato «sopraccorpo», e illustra le tipologie di investimento e l'entità del capitale da essi impiegato, riportando i risultati in grafici. L'A. considera dapprima le tipologie delle transizioni adottate, per lo più di natura commerciale, e poi descrive le operazioni bancarie che prevedevano l'uso di cambiali. Infine, dopo aver gettato uno sguardo all'attività dei Fiorentini costretti a star lontano dalla città natale a seguito del tumulto dei Ciompi, si sofferma sul arrivo di numerosi mercanti italiani a Buda tra 1440 e 1470, che ottennero da Mattia Corvino la licenza per vendere beni di lusso, pur non essendo in possesso della cittadinanza ungherese. Nel capitolo quattro (pp. 139-68) l'A. cerca di capire se la migrazione dei Fiorentini in Ungheria avesse costituito una vera e propria diaspora, e propone innanzitutto un confronto con quella dei Tedeschi nel Sud della Germania, che dalla seconda metà del XIV secolo si integrarono progressivamente nelle élite dei centri con cui avviavano rapporti commerciali, e osserva in particolare come la presenza toscana fosse numericamente più contenuta e si estendesse in un arco cronologico più breve. L'A. inoltre mette in discussione l'ipotesi, a lungo sostenuta dalla critica (in particolare da E. Mályusz
Zsigmond király uralma Magyarországon Budapest 1984), su una presunta competizione fra le due componenti etniche a Buda, mettendo in luce come i loro rapporti fossero in realtà «complementary rather than competitive» (p. 143): i Tedeschi si occupavano prevalentemente della vendita della lana di media qualità, mentre gli Italiani del commercio di beni e tessuti di lusso. Accanto a questo, se gli uni tendevano a integrarsi nelle comunità locali con matrimoni e assumendo incarichi nelle amministrazioni, gli altri risiedevano nelle zone per brevi periodi, a seconda dalle effettive opportunità di guadagno, senza alcuna aspirazione per prender parte al governo delle comunità, e limitandosi a stringere accordi con i poteri locali. L'A. poi si sofferma sulla presenza toscana in altre città e regioni del regno fra XIV e XVI secolo; se a Praga e Vienna la componente fiorentina fu poco consistente, a Cracovia e nei porti della Dalmazia (come Zagabria, Dubrovnik, Senj, Ptuj, Ragusa e Ljubljana) fu decisamente più cospicua. Tuttavia, un'effettiva diaspora sembrò verificarsi solo a Zagabria, dove l'elemento latino, in possesso della cittadinanza ungherese, e che poteva avere i suoi rappresentanti nelle magistrature cittadine, riuscì progressivamente a integrarsi nella comunità locale. Nel capitolo cinque (pp. 169-202), l'A. rivolge l'attenzione alle vicende di otto famiglie fiorentine, diverse per disponibilità finanziaria, e attive in Ungheria nella prima metà del XV secolo, e istituisce un confronto fra la loro attività svolta nella città toscana e quella successivamente intrapresa in Ungheria. Dopo aver descritto la struttura delle consorterie, gruppi di famiglie legate da rapporti di parentela e e pronte a formare un fronte comune in campo politico, sociale ed economico, l'A. esamina «the means of co-operation and solidarity» (p. 175) di ciascuna di esse, e sottolinea come i membri attivi in Ungheria (di solito il padre con i suoi figli) avviassero e gestissero collettivamente la stessa impresa commerciale, che in genere, alla morte del capofamiglia, tendeva a restare unita, e a mantenere le strategie impreditoriali fino a quel momento adottate. L'A. si sofferma di seguito sui membri delle famiglie che riuscirono a integrarsi con successo nell'aristocrazia ungherese, ripercorrendo nel dettaglio la poco nota vicenda di Niccolò di Andrea Buondelmonti, che divenne un facoltoso proprietario terriero, e conduce infine un'accurata analisi sugli insediamenti delle varie famiglie nei centri urbani della Transilvania. Nel capitolo sei (pp. 203-26), l'A. adotta la prospettiva opposta e indaga, a partire dalle informazioni contenute nei registri del Catasto del 1427, sull'eventuale presenza di emigrati ungheresi a Firenze, individuandone con discreta sicurezza 26 (2 donne e 24 uomini), che lavoravano in città come servitori o artigiani (i dati su ciascuno di essi, relativi alla professione, al reddito e ai beni di proprietà sono forniti in tabelle, rispettivamente alle pp. 210-1 e 215-9). L'A. fornisce anche un'analisi del loro status economico e sociale, in genere modesto, e sottolinea la loro propensione a integrarsi nel tessuto locale. Al capitolo sette (pp. 227-32) di carattere conclusivo, in cui l'A. ripercorre i nodi salienti del volume, seguono due ampie appendici. La prima (pp. 233-323) è costituita da un dettagliato repertorio prosopografico, che raccoglie i dati sui mercanti fiorentini in Ungheria menzionati nelle fonti consultate nel corso dell'indagine. Esso comprende 191 schede, ciascuna dedicata a un singolo individuo, ordinate in base alle famiglie, e in cui vengono registrati i pochi dati biografici certi, i periodi di soggiorno all'estero, la tipologia d'impresa avviata, i soci in affari, l'entità del capitale, gli eventuali incarichi nell'amministrazione del regno e i rapporti con l'aristocrazia e i sovrani locali. La seconda appendice (pp. 324-53) propone una serie di tabelle che raccolgono i dati catastali relativi alle operazioni finanziarie compiute dai mercanti in Ungheria, registrando, per ciascuno di essi, i nomi dei creditori e dei debitori, e l'entità dei singoli importi. Conclude il volume un'ampia bibliografia (pp. 355-429). (Michele De Lazzer)
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