Oggetto del saggio è la percezione della figura femminile all'interno delle
Vitae Patrum e le modalità in cui essa venne recepita e trasformata nella cultura medievale portoghese. Dopo un breve excursus sull'origine e la diffusione dei testi dei Padri del deserto, viene proposto l'esame di alcune narrazioni conservate nei manoscritti Porto, BM, 753 (testimone delle
Sententiae Patrum Aegyptorum di Martino di Braga); Lisboa, BN, Alcob. CCLXXXIII/454 (testimone di una selezione di
Apophtegmata e di una collezione agiografica organizzata da Valerio di Bierzo), Alcob. XV/367 (che trasmette ugualmente una collezione di testi valeriani); Brasília, Biblioteca Central da Universitade de Brasília, Secção de Obras Raras, s.n. (testimone di una traduzione portoghese e di una parte della raccolta di Valerio di Bierzo). L'A. rileva come in tali narrazioni si possano distinguere due tipologie di donne, l'anacoreta e la peccatrice pentita, le quali assumono un significato e un valore differente nei testi latini e nelle corrispondenti traduzioni portoghesi. Nella versione latina la donna si oppone all'uomo, incarnazione della spiritualità, e, identificata chiaramente con il male e con la corporalità, non è degna di portare un nome; in quella portoghese, al contrario, questo dualismo è mitigato e in particolar modo la figura della donna peccatrice, che si redime attraverso una pesante penitenza, acquista un'esemplarità cristiana e un valore tale da permetterle di divenire modello di perdono per gli uomini e di acquisire infine un nome. (Chiara Santarossa)
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