La biblioteca reale di Napoli, fondata in Castel Nuovo da Alfonso V d'Aragona, ebbe vita breve (1455-1495): la discesa di Carlo VIII ne segnò di fatto la rapida dispersione come già le ricerche di T. De Marinis, confluite nei sei ponderosi tomi dedicati appunto a
La biblioteca napoletana dei re d'Aragona Verona-Milano 1947-1969, avevano indicato raccogliendo gli inventari più importanti e le cedole della Tesoreria, documenti di un fermento culturale e, nella fattispecie, di committenze librarie di eccezionale rilievo. La raccolta era frutto di un'attenta politica culturale, avviata dal Magnanimo dopo la conquista di Napoli nel 1442, tenendo a modello la biblioteca pavese dei Visconti con i quali aveva mantenuto stretti rapporti, e continuata poi con oculatezza dal figlio Ferrante (1458-1494), che oltre a commissionare codici miniati di elegante fattura allo scriptorium organizzatosi nei locali di Castel Nuovo, confiscò nel 1486 anche le biblioteche dei baroni ribelli (Giovanni II Caracciolo, duca di Melfi, il segretario Antonello Petrucci, il principe Pietro de Guevara, gran siniscalco, Angilberto del Balzo, conte di Ugento e il principe Girolamo Sanseverino) ed incamerò la collezione libraria del figlio, il cardinale Giovanni d'Aragona (? 1485), composta da almeno cinquanta manoscritti e quindici incunaboli. Sotto Ferrante si intensificarono i contatti con i copisti e con i miniatori fiorentini: fecero così ingresso tra i codici quelli caratterizzati dalla decorazione di scuola toscana denominata «a bianchi girari» secondo il gusto all'antica. L'A., inoltre, mette in debito risalto il ruolo decisivo avuto da altri membri della famiglia reale nelle vesti di committenti: Alfonso duca di Calabria e la sua consorte Ippolita Maria Sforza fondarono infatti una grande biblioteca in Castel Capuano ricorrendo al librario fiorentino Vespasiano da Bisticci; né va sottovalutato che Federico d'Aragona, l'ultimo regnante sul trono di Napoli a fianco della dotta moglie Isabella del Balzo, tentò di salvare, facendo fronte alle ristrettezze economiche, il nucleo principale della biblioteca di famiglia, pur donando alcuni volumi al cenobio partenopeo degli Olivetani (tra questi la celebre Bibbia olivetana, Napoli, BN, VI.A.20.21, un codice di Celso, ora Napoli, BN, V.A.10 bis nonché il sontuoso libro d'ore del Magnanimo, ivi I.B.55). L'ultimo capitolo è dedicato alla storia della diaspora del patrimonio librario: Federico d'Aragona, lasciato il proprio regno per l'esilio in terra di Francia nel settembre 1501, portò con sé quanto restava dopo il saccheggio perpetrato da Carlo VIII a beneficio di re Luigi XII (questi mss. sono poi confluiti nel fondo aragonese della Bibliothèque Nationale di Parigi): dei volumi trasferiti, 138 furono venduti al cardinale Georges d'Amboise e quindi ubicati nel castello di Gaillon come conferma il catalogo redatto nel 1508. Isabella del Balzo, dimorante intanto a Ferrara, vendette nel 1523 all'umanista Celio Calcagnini un centinaio di volumi di minore pregio tra quelli che era riuscita a sottrarre alle razzie. Infine Ferrante, dopo che fu nominato viceré di Valenza, stabilitosi in questa città definitivamente nel 1526, vi fece trasferire da Ferrara ciò che ancora restava dell'eredità libraria aragonese, compresi 305 volumi della raccolta reale. Tra i libri su cui l'A. si sofferma per dare ragguagli circa la committenza e la genesi scrittoria (alcune carte sono riprodotte su tavv. a colori) si segnala: il sopra citato libro d'ore del Magnanimo; Cicerone,
Orationes, Paris, BNF, lat. 7782; il
Breviarium Romanum di Ferrante, Napoli, BN, I.B.57; Plinio il Vecchio,
Historia naturalis volgarizzata dal Landino, El Escorial, Bibl. del Real Monasterio, h.I.9; Quintiliano,
De institutione oratoria, València, Bibl. Hist. de la Universidad, 292; Flavio Giuseppe,
Antiquitates Iudaicae, London, BL, Harley 3699; dello stesso autore il
De bello Iudaico, València, Bibl. Hist. de la Universidad, 836; Gellio,
Noctes Atticae, València, ivi, 389; Cipriano,
Epist., Paris, BNF, lat. 1659; Giovanni Pontano,
De principe,
De obedientia, Valencia, Bibl. Hist. de la Universidad, 52; Giovanni Pontano, stesse opere oltre al dialogo
Charon, Vat. Urb. lat. 225; Arriano,
De rebus gestis Alexandri Magni nella traduzione latina di Bartolomeo Facio e Iacopo Curlo, Vat. Urb. lat. 415. (Giovanni Fiesoli)
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