Il volume si apre con una premessa di L. Bertazzo e con una presentazione dello stesso A. Dopo l'introduzione, dedicata alla fortuna critica e alla ricognizione bibliografica sull'argomento (dal lavoro cinquecentesco dello storico francescano L. Wadding, che aveva avviato la riflessione sull'iconografia di Antonio, sino alle voci riservate nelle enciclopedie del secolo scorso), il primo capitolo, «Le Vite di Antonio e i loro influssi sulla fisionomia e il carattere del santo», prende in esame le
vitae di Antonio di Padova, utili a ricostruirne la biografia e le caratteristiche iconografiche.
La Vita prima (
Assidua) è la biografia ufficiale del santo, redatta poco dopo la sua canonizzazione, avvenuta a Spoleto nel 1232. Il
Dialogus de gestis sanctorum fratrum Minorum chiude - dopo la cosiddetta
Vita secunda, una rielaborazione della
Prima - la produzione letteraria sulla vita di Antonio nella prima metà del XIII secolo. Seguono la
Vita Raymundina, scritta a Padova nel 1293, la
Vita Rigaldina, la biografia più completa, redatta a cavallo tra XIII e XIV secolo, e la
Legenda «Benignitas», nella quale si opera una rigorosa separazione della vita e dei racconti dei miracoli. La prima
Vita scritta da un autore non francescano è la
Vita sancti Antonii di Pietro Calò da Chioggia, risalente alla prima metà del Trecento. Vengono menzionati, infine, il leggendario fiorentino Firenze, Laurenziana, Pl. 35 sin. 9; il
Liber miraculorum sancti Antonii, compilazione trecentesca di precedenti vite di Antonio - la cui genesi è collocabile tra il 1367 e il 1370 e che, come osserva l'A., è una raccolta di miracoli, destinata a divenire fonte testuale in numerosi cicli -; un capitolo della vita di Francesco
De conformitate vitae beati Francisci ad vitam domini Iesu di Bartolomeo da Pisa, dedicato alla vita del santo padovano, trattato, contrariamente a Francesco, come il «santo solitario» (p. 35); la
Vita di Antonio, redatta nel 1433 da Sicco Polenton, che è la prima scritta da un laico. Il secondo capitolo, intitolato «Le prime raffigurazioni antoniane», si apre con la duplice avvertenza che nessuna raffigurazione di Antonio, risalente al XIII secolo, è pervenuta, per quanto se ne possa presumere l'esistenza, e che l'apertura della tomba del santo ha avuto un esito deludente per ciò che riguarda la sua iconografia. Il capitolo indaga i risvolti della vera
effigies di Antonio, in relazione, ad esempio, all'immagine di Francesco, a cui Antonio è collegato dai mezzi iconografici propagandistici di età postantoniana. Gli esempi presi in esame evidenziano il ruolo assunto nel programma francescano da Antonio come predicatore, che appare nimbato, come Francesco, in molte redazioni figurative. «Antonio figura oggetto di culto nei primitivi programmi iconografici francescani» è il titolo del terzo capitolo, che segue lo sviluppo dell'iconografia antoniana in base al programma santorale elaborato dall'Ordine. Antonio è visto come garante dell'indirizzo ortodosso della teologia dell'Ordine e questo spiega il suo accostamento, ascrivibile agli anni 1270-1280, a Francesco, anche nell'importante chiesa di San Francesco ad Assisi, nell'abside dell'omonima chiesa a Gubbio, e negli affreschi della cripta della chiesa benedettina di San Fermo a Verona. Di seguito, viene analizzata la posizione di Antonio nelle basiliche patriarcali romane. Gli affreschi dell'inizio del XIV secolo, appartenenti al più importante complesso benedettino femminile a Milano, San Maurizio al Monastero, testimoniano, invece, di una precoce contrapposizione tra Francesco e Antonio. La ricezione del santo padovano si trova, nel primo Quattrocento, anche nel cuore delle Alpi, come attesta l'affresco dell'altare della cappella dei santi Erardo e Ingenuino nella chiesa francescana di Bolzano, realizzato attorno al 1310. La più antica testimonianza iconografica di Antonio a Padova si rintraccia nell'affresco di una lunetta nell'atrio della sacrestia, nel quale la Madonna in trono è accompagnata da Antonio e Francesco. Il collegamento del santo con l'Emilia, come riferito dalla sua biografia, è comprovato dalla zona presbiteriale della chiesa delle Clarisse a Ravenna, dove Antonio reca un libro, suo attributo individuale. Il quarto capitolo, «Antonio come figura di culto nei primi polittici d'altare», prende le mosse da un dittico proveniente dalla chiesa di Santa Chiara delle Clarisse di Lucca, databile agli anni 1255-1260, il più antico documento iconografico nel quale Antonio è al lato d'onore dell'arcangelo Gabriele, in un posizione quindi di rango superiore a quella di Francesco. La seconda parte del capitolo esamina la presenza di Antonio sulle croci dipinte (il più antico esempio, in relazione ad Antonio, di croce dipinta sui due lati è quella attribuita al Maestro della Croce di Gubbio, datata alla fine del Duecento) e sulle pale d'altare primitive (la presenza del santo padovano è documentata per la prima volta nella chiesa perugina di San Francesco al Prato, risalente al periodo 1260-1280). Nel quinto capitolo, intitolato «L'influsso dell'osservanza sulla raffigurazione di Antonio», viene studiata l'iconografia di Antonio nei dipinti degli Osservanti del Quattrocento, nel periodo in cui il santo inizia a godere di un'accresciuta considerazione. Sono quindi esaminati alcuni esempi nei quali determinati momenti della vita di Cristo e di Maria vengono trattati con l'inserimento della figura di Antonio e le pale d'altare del Quattrocento, ove il santo è in posizione centrale o unico protagonista. Un posto a parte merita la
Conversazione di Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1490/1498-1554) che presenta un'iconografia provocatoria nel raffigurare Francesco in atto di riverenza verso Antonio, rappresentazione collegabile alla lotta tra Conventuali e Osservanti. Chiude il capitolo l'esame di un'iconografia «volta a un isolamento figurativo del santo, in un paesaggio naturale o urbano» (p. 144). «Molteplicità (tipologia) di
typus nell'iconografia di Antonio» (capitolo 6) ricostruisce lo sviluppo, nel corso del XV secolo, del
typus nell'iconografia di Antonio. Come canonico regolare, nell'arte italiana, Antonio si incontra unicamente nella scena della vestizione, mentre, come canonico agostiniano, il santo appare negli affreschi della cappella di sant'Antonio in San Fermo a Verona; diversamente si verifica in Portogallo e nell'iconografia dell'ordine dei Canonici. Se l'iconografia dell'erudito in Antonio di Padova riguarda prevalentemente il periodo successivo alla Riforma, l'immagine di Antonio come predicatore costituisce un tratto di rinnovamento iconografico introdotto dagli Osservanti. Dell'iconografia della presentazione del
Si quaeris, collegata al
typus di Antonio che tiene nelle mani un libro aperto, vengono forniti diversi esempi. Sono ricordate, inoltre, testimonianze di Antonio come astante con il manto protettivo e di Antonio che presenta il monogramma di Gesù, di cui il primo esempio risale all'anno 1446. Sono, infine, segnalati alcuni casi del collegamento tra il santo e Padova, dove, come compatrono, Antonio compare, per la prima volta, nel codice dell'Archivio di Stato di Padova contenente gli statuti notarili (1295-1341). Il settimo capitolo, «Forma e genesi degli attributi del Santo», segue lo sviluppo degli attributi di Antonio, le cui prime raffigurazioni conoscono solo quello del libro, con la presenza, a volte, della croce in mano. A partire dal XIV secolo compare il giglio. Controbilanciano il significato del libro il cuore e la fiamma, simboleggianti il vero amore di Dio, di cui vengono esaminate molteplici varianti. Estremamente rari sono gli attributi della palma, dello scrigno e del
titulus della croce; inusuale, specialmente in Italia, è quello del pesce. Collegati alla scena del miracolo della mula sono gli attributi, ricorrenti nell'iconografia controriformista, del calice, della patena e dell'ostensorio. Nel medesimo periodo si assiste anche alla moltiplicazione iconografica della presenza di Gesù bambino accanto ad Antonio. Assenti nell'area italiana sono, invece, gli attributi del vaso e della spada. Il capitolo ottavo, «La figura singola e il suo inserimento in un ciclo di santi», propone l'analisi delle raffigurazioni individuali del santo, nell'arte medievale, e di cicli di santi che comprendono la presenza di Antonio di Padova (Ognissanti), di cui la prima testimonianza è attribuibile a Cimabue, il quale presenta Antonio a lato di Francesco nel coro di San Francesco in Assisi. Tipica di ambito minoritico è la raffigurazione dell'albero francescano, il
Lignum vitae, il cui testo base è offerto da Bonaventura. Gli esempi considerati mostrano, tuttavia, come la presenza di sant'Antonio nell'albero francescano non è un criterio obbligatorio. «Scene e cicli narrativi nella pittura monumentale» (capitolo nono) intende focalizzare le comunanze iconografiche tra alcune scene della biografia di Antonio e quelle di
sancti di altri Ordini. Oggetto del capitolo decimo, «Episodi della vita nella pittura su supporto mobile e nella scultura a rilievo», è la descrizione delle problematiche iconografiche inerenti i manufatti raffiguranti scene della vita di Antonio di Padova. Nell'undicesimo capitolo, dal titolo «Cicli di vita nella miniatura e nella grafica», è esaminata la vita di Antonio nella Franceschina, uno dei ms. francescani di più ricco contenuto del tardo XV secolo, nato in ambito osservante; nella xilografia «Si quaeris» nella Biblioteca Casanatense a Roma e negli episodi della stampa del British Museum a Londra, di probabile esecuzione padovana. L'ultimo capitolo (il dodicesimo), «Scene di vita isolate», non inserite in un ciclo, segnala le raffigurazioni di Antonio sul noce, della comparsa del santo padovano al beato Luca Belludi (ca. 1200-1286) e della venerazione del sarcofago di Antonio, scena inserita nel ciclo della cappella del beato Luca Belludi. Il volume è chiuso da 281 tavole fotografiche a colori, dalla bibliografia e dagli indici.
(Vincenzo Fai)
Riduci