Ristampa con integrazioni della seconda parte di
Alle origini della letteratura francese.
I Giuramenti di Strasburgo e la Sequenza di Santa Eulalia Torino 1966, ripubblicato in
La doppia verità. Fenomenologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo Firenze 2002 pp. 299-329 (cfr. MEL XXV 6465). Il saggio si apre con una rassegna bibliografica sulla sequenza di sant'Eulalia relativa agli anni 1837-1983. L'edizione del testo si legge alle pp. 429-32. La sequenza è tradita dal solo ms. Valenciennes, BM, 150 (143), che restituisce una versione latina (f. 141r) e una volgare (f. 141v) del testo, copiate da mani diverse. Il codice appartenne
ab antiquo all'abbazia di St.-Amand-les-Eaux, anche se il testo fu probabilmente redatto nella zona vallone tra l'881 e l'882 (sono gli anni che coincidono con le poche vicende legate al culto della santa, tra cui la
translatio dalla Spagna alla Francia, occasione ideale per l'elaborazione di testi paraliturgici). Dall'analisi prosodica della sequenza latina emerge che il testo si compone di versi metrici (tetrametri dattilici catalettici
in syllabam, cioè alcmanici) modellati sull'inno prudenziano
Germine nobilis Eulalia, e ritmici (con un numero variabile di sillabe da 7 a 13). I versi ritmici sono suddivisi in versicoli facendo ricorso alla sinafia (unione ritmica dei
cola, già usata nella poesia classica e presente anche nella lirica volgare francese e italiana). Tanto i versi metrici quanto quelli ritmici hanno cadenza proparossitona e sono spesso assonanti in forma monosillaba, bisillaba o trisillaba (la maggior parte); le numerose assonanze toniche - avverte l'A. - non implicano che la congruenza degli accenti sia percepita come necessaria, in quanto fino al secolo XI è ammessa l'assonanza atona (
légere:
egére). La corrispondenza strofica è perfetta sia per la parte metrica sia per la ritmica (numero di sillabe e accenti). La sequenza francese è costruita secondo gli stessi principi di quella latina, ma la corrispondenza sillabica nei vari couplet non è sempre perfetta, così come la suddivisione in versicoli. Si impiegano versi di 10, 11, 12 e 13 sillabe; il testo pone problemi metrici di cui l'A. sintetizza le soluzioni proposte da vari studiosi, nessuna a suo parere pienamente soddifacente. In complesso si osserva la ricerca di identità tra i versi delle singole clausole e anche tra le clausole stesse (strofe e antistrofe erano d'altronde cantate sulla stessa melodia); la nasalizzazione delle vocali (per cui una vocale nasale non può rimare con una orale) è ancora fenomeno sconosciuto nella versificazione di questa sequenza. Dallo studio della versificazione si desume che il testo appartiene al genere della dacaposequenza (sintesi di storia della critica alle pp. 447-8) che, essendo un genere musicale, comporterebbe abitudini prosodiche diverse da quelle che governano testi nati per la sola lettura o per la declamazione. La sequenza, ricorda l'A., trae origine dalla musica (si ricordi quanto narrato da Notkero Balbulo) perché nasce come soluzione mnemotecnica per ricordare i melismi del
iubilus (la risposta del coro al verso alleluiatico del solista). Nella dacaposequenza lo schema strofico comporta la ripetizione di una stessa formula; l'A. si basa sul censimento del Winterfeld che contiene una decina di testi con simili caratteristiche, tutti provenienti dallo stesso ambiente della sequenza di sant'Eulalia:
Dominus, coeli rex et conditor (St.-Amand, IX sec.);
Psalle symphonizando (forse opera di Ucbaldo, X sec.);
Virginis virginum cantica Marie (Limoges, X sec.);
Pangant simul eia (attribuito a Ucbaldo, IX sec.);
Rex coeli Domine (St.-Amand, sec. IX);
Sancte Paule pastor bone (nel ms. Paris, BNF, lat. 1154 di S. Marziale di Limoges del sec. X, in Verona, Bibl. Capitolare, XC [85] e in un ms. di San Gallo del sec. X [Sankt Gallen, Stiftsbibl., 679]);
Dulce carmen et melodum canimus (in Paris, BNF, lat. 1154 di S. Marziale di Limoges);
Caelum, terra, pontus, aethra (attribuito a Pier Damiani). I testi citati mostrano analogie tematiche e d'ispirazione. Quanto all'origine del genere, gli studiosi discutono ancora se si possa parlare di derivazione della dacaposequenza dalla sequenza; alcuni elementi (mancanza di legami con l'Alleluia, contenuto diverso) sembrano indicare nella dacaposequenza un prodotto culturale elevato sviluppatosi in un ambiente evoluto a fini musicali e non liturgici (Steinen), forse nato come forma di regolarizzazione e arricchimento della sequenza (il che implica secondo l'A. che la sequenza in origine era una forma aperta). La parte conclusiva del saggio analizza un altro importante problema critico: la mancanza di equivalenza sillabica tra le clausole corrispondenti delle due versioni (latina e francese) della sant'Eulalia - si postulava la derivazione di una dall'altra, con proposte di emendazione del testo per assecondare il calco. Esistono però casi in cui alla stessa melodia corrisponde un testo diverso; le licenze e le varianti accidentali connotano il genere sequenza, ma si ha l'impressione che nei rapporti di derivazione sia il testo e non la musica ad avere un ruolo determinante; il processo di adattamento alla linea melodica può comportare inserzioni notevoli, così si spiega come da una stessa musica alleluiatica nascano sequenze di melodia e struttura sillabica diverse (nel ms. Paris, BNF, lat. 1120 due prose qualificate come
de ipsa sequentia sono molto distanti musicalmente), proprio come nel caso della sant'Eulalia. Il saggio si chiude sul problema della divisione in strofe del testo che però non è ancora risolto; l'A. accoglie la soluzione di Winterfeld con introduzione e intermedio costituiti da una sola clausola, la I e la VII (quest'ultima di 12 sillabe nella redazione latina e di 10 in quella francese).
(Elisabetta Bartoli)
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