Sebbene gli episodi agiografici che riguardano gli animali selvatici affondino le origini nelle
Vitae dei padri del deserto e si ritrovino in tutta la produzione altomedievale, l'A. dimostra come sia il secolo XII insulare ad adottare l'uso metaforico di questi brani, che prima si limitavano per lo più a dei topoi sulla potenza del santo e che già nel XIII secolo perdono il loro valore sociale e gran parte della loro verosimiglianza per diventare (o tornare a essere) episodi di valenza simbolico-miracolosa. Dopo aver delineato il caso emblematico della
Vita Anselmi di Edmero, l'A. tratta dapprima di alcuni esempi agiografici relativi al dragone, per dimostrare la particolare valenza che assume l'animale nella
Vita del santo normanno Vigor rispetto ad altri testi (la vita di Simeone Stilita e quelle di Giorgio e degli apostoli Matteo e Andrea tratte dalla
Legenda aurea); quindi esamina più in generale l'approccio dei redattori all'elemento miracoloso, aggiungendo all'analisi anche i
Dialogi di Gregorio Magno e le
Vitae patrum di Gregorio di Tours, la
Vita Martini di Sulpicio Severo, la
Vita Kentigerni di Jocelyn di Furness, l'
Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, il
Pratum spirituale di Giovanni Mosco e l'
Historia topographica Hiberniensis di Geraldo Cambrense. Il secondo capitolo ripercorre il formarsi della tradizione agiografica riguardante episodi con animali: oltre ad alcune agiografie anonime si esaminano la
Vita Antonii di Evagrio, la
Vita Hilarionis e la
Vita Pauli di Girolamo e la sua epistola 22, l'
Historia monachorum di Rufino, la
Passio Perpetuae et Felicitatis, la
Navigatio sancti Brendani, la
Vita Cuthberti di Beda e la
Vita Godrici del monaco Reginaldo, ponendo attenzione qui e nei capitoli successivi alle differenze fra l'agiografia occidentale e i modelli orientali. La trattazione di questi e altri testi (Cesario di Heisterbach
Dialogus miraculorum, Geronzio
Vita Melaniae iunioris, la
Vita Radegundis di Baudonivia e quella di Venanzio Fortunato) conduce l'A. ad analizzare la particolarità della produzione irlandese, caratterizzata da una diversa concezione della natura e della vita, di matrice celtica, e dal particolare episodio della resurrezione di oche. I testi insulari non anonimi esaminati sono la
Vita Brigidae di Cogitoso, la
Vita Columbae di Adamnano, la
Vita Patricii di Muirchú, la
Vita Werburgae e la
Vita Edithae di Goscelino di Saint-Bertin, la
Vita Maclovii di Sigeberto di Gembloux, la
Vita Davidis di Rhygyfarch, la
Vita Winwaloei di Wrdisten, il
De gestis pontificum di Guglielmo di Malmesbury, i
Miracula ss. Waldeberti et Eustasii di Adso Dervense. Prosegue quindi con l'esame del topos dell'eremita e del cacciatore, passando in rassegna dapprima alcune anomalie e particolarità dei testi in cui compare il lupo, quindi facendo confronti su base crono-geografica relativamente alla produzione agiografica europea entro il XII secolo, con particolare attenzione al dossier di s. Cutberto, al quale si dedica un intero capitolo e che viene confrontato con la
Vita Bartholomaei Farnensis e la
Vita Godrici di Goffredo di Coldingham, e con i
Libelli di Reginaldo e Simeone di Durham. I capitoli conclusivi analizzano il significato e i valori degli animali e dei personaggi presenti in queste immagini agiografiche, appartenenti a due grandi categorie di significanti: il potere sulla natura e l'empatia verso l'animale; un argomento che porta l'A. a trattare dell'agiografia relativa a Francesco d'Assisi, le sue peculiarità, la sua originalità rispetto ai topoi e le istanze differenti del pubblico e degli autori del XIII secolo, ma che ritorna infine alla questione principale affrontata: se certamente ogni produzione letteraria muove dalle esigenze del pubblico e dipende strettamente dalle circostanze storico-sociali del contesto in cui nasce, quanta parte di cultura elitaria, quanta di folklore e cultura orale o popolare, quanta di pensiero ecclesiastico e monastico si riescono a distinguere nelle singole agiografie? Il volume è corredato dalla bibliografia e dall'indice dei nomi. Recensione di Anders Fröjmark in «Sixteenth Century Journal» 41 (2010) 174-5. (Marianna Cerno)
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