La prima parte del saggio evidenzia la mutata prospettiva storiografica che - a partire dall'inizio degli anni 90 dello scorso secolo - ha rivalutato il ruolo della scienza all'interno della produzione culturale altomedievale, arrivando di recente (con gli studi di R. McKitterick, ad esempio) ad affermare l'esistenza di uno stretto legame fra scienza e letteratura, percepite come diverse facce di una stessa medaglia e non come ambiti irriducibili e non comunicanti. A dimostrazione di quello che l'A. definisce «The linkage between letters and numbers, between
litterae and
calculatio», nella prima sezione dello studio, «Numeracy in the Early Middle Ages», si analizza il capitolo 72 dell'
Admonitio generalis del 789 (MGH Cap. I 60, 2-4), dal quale si evince la rilevanza del
computus nel
curriculum studiorum carolingio, e si evidenziano le figure di Martino di Laon, Dicuil (
Liber de mensura orbis terrae) e Beda (
De temporum ratione). La sezione del saggio intitolata «Counting», data per acquisita la capacità di maneggiare i numeri come segnali del divino, indaga sulle possibilità di loro utilizzo in ambito strettamente matematico: attraverso la considerazione delle
Propositiones ad acuendos iuvenes attribuite ad Alcuino (il testimone più antico che le tramandi è il Vat. Reg. lat. 309, proveniente da Saint-Denis) e del
De arithmeticis propositionibus (in passato attribuito a Beda), l'A. mette in evidenza come la genesi dell'interesse per le pratiche
calculatoriae possa essere fatta risalire (per quanto riguarda l'Occidente) verosimilmente al IX-X sec. Un simile fenomeno vide il suo epicentro nella corte carolingia e coinvolse matematici, teologi e grammatici. Nella sezione «Calendars» l'A. evidenzia il ruolo preminente del computo cronologico rispetto alle speculazioni aritmetiche, in virtù della sua valenza liturgica. In questo contesto, l'esistenza di differenti tradizioni e calendari (in particolare quello romano e quello ebraico, basati, rispettivamente sul corso del sole e sul mese lunare) generarono confusione e difficoltà nel computo delle ricorrenze, in particolare della Pasqua. Per ovviare a questa mancanza di sincronia, vennero approntate delle
tabulae di corrispondenza, in grado di rendere più agevole la coincidenza fra i differenti sistemi di misurazione. Questi rimedi, tuttavia, risultarono tutt'altro che definitivi, ed in alcuni casi fu necessario ricorrere addirittura allo strumento conciliare per dirimere questioni legate al computo della Pasqua: emblematico rimane a questo riguardo il caso del concilio di Whitby, convocato nel 664 dal re Oswiu. Dionigi il Piccolo aveva tentato di armonizzare il calendario romano e quello ebraico col metodo di compensazione denominato «ciclo dei 19 anni»: la fortuna di questo metodo, con il quale fu introdotta per la prima volta la nozione di A.D. (
Annus Domini), non fu tuttavia né subitanea né esplosiva. Esso iniziò a diffondersi a partire dal VII sec. in area Anglosassone, per giungere sul continente soltanto fra l'VIII ed il IX sec. Questo ritardo fu dovuto, probabilmente, a frammentazioni (in seno all'autorità religiosa) e localismi, ed alla presenza di sistemi di calcolo concorrenti, dotati in qualche caso di una forte carica attrattiva. Fu Beda (
De natura rerum,
De temporibus liber,
De temporum ratione) a perfezionare e favorire la diffusione del sistema dionisiano, che può essere considerato a tutti gli effetti lo stato embrionale della moderna cronografia occidentale. Le opere di Beda costituirono per l'orizzonte culturale di quest'epoca, un irrinunciabile punto di riferimento, attorno a cui si andò addensando il dibattito teorico, tutt'altro che sopito: l'intensificarsi della riflessione su questi problemi, fece sì che il fuoco dell'attenzione potesse spostarsi dal piano del
computus a quello della
cosmologia. La penultima sezione del saggio, intitolata appunto «Cosmology», si apre con alcune riflessioni sull'interesse e l'attenzione riservate all'osservazione dei fenomeni naturali dagli uomini dell'alto medioevo: in questo contesto una certa preminenza deve essere accordata all'osservazione della volta celeste, anche in virtù dell'importanza attribuita alle parole di Genesi I, 14, che indicano chiaramente come essa sia da considerarsi un vero e proprio strumento di misura del tempo sublunare. In realtà l'osservazione della volta celeste consentiva di esaminare non soltanto il fluire del tempo, ma anche di leggere i segnali in essa nascosti: Gregorio di Tours (
De cursu stellarum), nel VI, e Nitardo, nel IX sec., sono testimoni di questa temperie culturale. Anche l'interesse di Carlomagno per l'osservazione della volta celeste e la sua interpretazione dovette essere notevole, come testimoniano il suo epistolario ed una mappa celeste intagliata nell'argento, menzionata in Eginardo e Tegano e ricordata negli
Annales regni Francorum. Nel IX sec., attraverso la rielaborazione carolingia della
Naturalis historia di Plinio, le consuete
rotae, utilizzate da Isidoro e Beda per la rappresentazione grafica delle teorie espresse, vengono sostuite da diagrammi (di varia natura) e
tabulae riassuntive, in grado di rendere possibile la fruzione di concetti complessi non soltanto a livello teorico-testuale, ma anche iconico-sintetico. Il valore pedagogico di questi nuovi modelli concettuali sarà tale da creare, nel IX sec., una frattura nella
visio cosmologica dominante, quella tolemaica. Nell'ultima sezione, «Numeracy and Early Medieval Society», l'A. tenta di fornire una valutazione realistica dell'impatto delle pratiche calcolatorie nell'ambito dell'intero panorama culturale altomedievale: per far questo considera personaggi e situazioni ritenuti esemplari (Lotario I, nel contesto legato all'economia; Duoda per quanto concerne preoccupazioni pedagogiche; Rosvita come testimone di una produzione culturale a cavallo fra scienza e letteratura); nelle considerazioni finali, l'A. individua nel
milieu altomedievale il momento di fondazione delle strutture filosofico-scientifiche che caratterizzeranno i secoli successivi. In appendice si pubblica la traduzione inglese del
De arithmeticis propositionubus (PL XC, 665-667), secondo il testo stabilito da M. Folkerts (
Pseudo-Bede: «De arithmeticis propositionibus»: Eine matematische Schrift aus der Karolingerzeit «Sudhoffs Archiv für Geschichte der Medizin und der Naturwissenschaften» 56, 1972, pp. 37-41). (Emiliano Degl'Innocenti)
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