L'A. introduce brevemente la raccolta epistolare di Francesco Filelfo, la cui ultima redazione è affidata alla monumentale silloge di Milano, Biblioteca Trivulziana, 873. Il codice tramanda una forma
longior dell'epistolario, seppur acefala e mutila nel finale, in quarantotto libri; essa sarebbe stata redatta dopo il maggio 1477. L'
editio princeps risale invece al 1473. L'A. mette in luce come nelle epistole affiorino fatti, episodi, personaggi e autori variamente legati alla storia antica. Analizza dunque l'epistola IV 29 a Francesco Pizolpasso, del 1° novembre 1440; la missiva verte interamente sull'esistenza della fenice (alla quale Filelfo afferma di non credere). La lettera in questione è annoverabile fra quelle maggiormente sottoposte a revisione nel corso del tempo: vi sono interi paragrafi che non compaiono nella
princeps. Filelfo cita e menziona, come fonti di primaria importanza sulla presunta esistenza della fenice, Ambrogio e Girolamo; in molti casi però si discosta dai due Padri per sposare la versione del lessico bizantino Suda, una fonte del tutto medievale. Per i paragrafi 4-5, aggiunti rispetto alla versione della
princeps, fonte è la
Naturalis historia di Plinio il Vecchio. L'A. discute se Filelfo abbia conosciuto o meno il testo pliniano prima del 1440: conclude che Filelfo abbia conosciuto la
Naturalis historia già nella giovinezza, ma che a questa altezza sia in cerca di un esemplare più completo o emendato. Gli interventi visibili nell'epistola al Pizolpasso sono dunque esito non di un recupero ma di una rilettura del testo pliniano. Il secondo testo preso in considerazione dall'A. è l'epistola III 19 a Federico Corner del 15 ottobre 1439, che verte sul matrimonio (Corner è infatti in procinto di sposarsi). Il testo si colloca quindi tra le file della precettistica coniugale. In questo caso, il Trivulziano differisce dalla
princeps per l'inserzione del paragrafo 4, oltre che per un cospicuo numero di correzioni
supra lineam. Dopo una serie di riferimenti biblici al tema matrimoniale, in particolare neotestamentari nell'aggiunto paragrafo 4, la lettera procede con una struttura a ricorrenze ternarie, anche nei singoli
cola. Filelfo mostra come il matrimonio sia superiore all'amicizia, in quanto solo i coniugi sono disposti a morire per amore; nell'argomentazione, l'umanista elenca cinque esempi di coppie di amici celebri, tratte dal
De amicorum multitudine di Plutarco. Nell'indicare invece alcuni dei più famosi eroi dell'Antichità classica morti per amore, Filelfo utilizza materiale tratto da Valerio Massimo. Per quanto riguarda poi gli
exempla di fedeltà, l'umanista attinge al ritratto di Livia tracciato da Ovidio nelle
Epistolae ex Ponto e all'anonima
Consolatio ad Liviam. Nel descrivere la figura di Didone morta sul rogo dello sposo, è possibile che Filelfo si rifaccia al
De re uxoria di Francesco Barbaro, che abbia riletto il dettato virgiliano o che abbia aderito all'idea di Petrarca, secondo cui Enea e Didone sarebbero vissuti in momenti cronologicamente molto distanti, e quindi la regina cartaginese sarebbe rimasta rimasta fedele al marito. Si legge poi una consistente eco spartana ai paragrafi 33-35, dove Filelfo descrive le norme di Licurgo sui rapporti sessuali, facendo diretto riferimento alla vita del legislatore scritta da Plutarco. L'A. conclude invitando a riflettere sulla poliedricità delle schedature filelfiane e sulla stretta connessione che il lavoro di edizione di questi testi deve mantenere nei confronti della variantistica. In appendice al saggio, l'edizione critica del testo delle due lettere. (Laura De Luisa)
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