Studio biografico in cui l'A. ripercorre le tappe salienti della vita dell'autore e le sue opere principali. Dopo avere presentato le notizie disponibili sulla data di nascita (1028-1030) e gli anni della formazione sotto l'abate Olberto, si prende in esame il periodo trascorso nella chiesa di Saint-Vincent a Metz, dapprima come insegnante, dove resterà fino al 1070, quando rientrerà a Gembloux (non senza dedicare un commosso addio alla città dove aveva soggiornato per vent'anni: l'elogio di Metz, inserito alla fine della
Vita domni Deoderici). Come si apprende da varie fonti, Sigeberto si guadagna la stima per la sua cultura sia cristiana sia ebraica e per le conoscenze bibliche. Tra le opere di questo periodo vengono menzionate la
Vita domni Deoderici (che prende a modello la
Vita Brunonis di Ruggero di Colonia), la
Passio sanctae Luciae, redatta in strofe alcaiche, che si colloca nella grande tradizione della versificazione dei testi agiografici, il
Sermo et relatio passionis Luciae, un racconto della
translatio delle reliquie, forma diffusa in epoca ottoniana. Si tratta poi del rientro a Gembloux, dove Sigeberto scrive la
Passio sanctorum Thebeorum metrica, notevole sia per l'impegno tematico (con diverse sfumature politiche) sia formale (nel solco del grande manierismo carolingio); la
Vita Wichberti e i
Gesta abbatum Gemblacensium. Vi sono poi opere redatte su richiesta dell'alto clero di Liegi, come la
Vita Theodardi, e quelle scritte durante la lotta per le investiture (in cui tenne una posizione antigregoriana) come l'
Apologia, in difesa del vescovo di Liegi Theodoino o, qualche anno più tardi, l'
Epistola adversus Paschalem papam in difesa del vescovo scismatico Gaucherio. Dopo avere enumerato brevemente le opere erudite di Sigeberto come il commento all'Ecclesiaste, anche se oggi ne restano solo frammenti, si tratta delle opere più note come il
Libellus de viris illustribus, che Sigeberto dichiara essere la sua ultima opera ma, secondo l'A., scritto contemporaneamente alla
Chronica, che rappresenta il suo
opus maius. Proprio nel
Libellus Sigeberto parla della
Chronica e dei modelli: Eusebio soprattutto e Girolamo; del primo conserva anche la visione plurivoca della storia attraverso la sinossi di più regni, che all'inizio della narrazione sono otto (i Vandali, i Franchi, i Bretoni, i Persiani, i Romani, i Visigoti, gli Ostrogoti e gli Unni), pure se legati da rapporti gerarchici al loro interno. L'opera, secondo l'A., è di ampio respiro, mostra una profonda erudizione e una grande padronanza delle tecniche storiografiche da cui traspare la visione di un mondo subordinato al volere di Dio, ma conserva anche il sapore del suo tempo e si avverte, nello sfondo, la questione gregoriana. Tracciando il bilancio finale, l'A. sottolinea che Sigeberto si è occupato sempre di storia, che ha spesso lavorato su commissione, che nella sua visione chiesa e stato sono comunque uniti e concordi e le sue opere - specie la
Chronica, forse anche per questo così letta - illustrano e legittimano questo equilibrio tra i due poteri. (Elisabetta Bartoli)
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